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Lasciato havea l'Adultero superbo
...hai vinto
Ma crudel, dove n'andrai
Voi, Genitor, consorte
Ma qual vendetta, oh dio
Contro voi, bellezze rie
Dov'è quel ferro istesso
Mà che farai, mio cor
Sò, ch'il mondo dirà, che s'io volea
Per sottrarmi all'altrui colpa
Si, si, corri alla morte
Poetical text transcription
Lasciato havea l’Adultero superbo
Sù l’macchiato origlier nuda e sdegnosa,
Oggetto troppo acerbo,
Di Collatin la violata sposa.
Vinto di Sesto al temerario assalto
Quel cor, benché di smalto,
Sembrava, che languisse
Sù la dorata [?] chioma
In vergognosa Eclisse
Lucretia, il sol de l’honestà di Roma.
E mentre al muto labro
Dispettosa mordeva il bel cinabro,
Le trafiggeva il petto
L’involontario errore,
Dell’ospite impudico il tradimento
L’accresceva il tormento
Del volgo detrattor vario il concetto,
L’odio del Geni[tore
Dello sposo lo scherno
furia d’honor nel suon racchiuso inferno
Onde resa frenetica e feroce
Fomentando i sospiri
Dando campo ai deliri
Si scosse dalle piume e in atto atroce
Svelto il crin molli i rai col piede ignudo
Così battendo il suol minaccia il Drudo:
Barbaro] hai vinto
Vanne, trionfa e godi,
Vanta il tuo diletto,
Ch’armato sol di frodi
Ti fu campo il mio letto.
Trombe le voci mie, colpi i tuoi baci,
Questo sen Campidoglio
E per trofeo del tuo lascivo orgoglio
Di Lucretia l’honor, ch’hai reso estinto.
Barbaro, hai vinto, hai vinto.
Ma crudel, dove n’andrai
Per fuggir le mie vendette?
Da libiche selve,
Del mar su le sponde,
Da gl’antri d’Averno
Ti scaccin le belve,
Ti sputino l’onde,
T’escluda l’Inferno,
E se al ciel giunger saprai,
Ti respinghin le saette.
Ma crudel, dove n’andrai
Per fuggir le mie vendette?
Voi, Genitor, consorte,
Fate del Reggio sangue aspro macello
Serva in confuso horror di straggi e morte
All’impuro regnante
Lo scettro di flaggelli,
La reggia di priggione,
Di ceppi le corone
E sia del piè tremante
Delle vostr’armi al lampo,
Delle mie voci al tuono
Il manto inciampo e precipizio il trono.
Ma qual vendetta, oh Dio,
Delirando disegna il pensier mio?
Contro voi, bellezze rie,
Il mio sdegno sfogarò.
Se in voi l’empio cadde involto,
Pur vedrò ne’ miei perigli
Scolorir le rose al volto,
Far sanguigni al seno i gigli
E le macchie in me non mie
Col mio sangue lavarò.
Contro voi, bellezze rie,
Il mio sdegno sfogarò.
Dov’è quel ferro istesso,
Che in man del traditore
Forza somministrando al molle eccesso
La costanza atterrì del mio gran core?
Egli, che sa l’inganno,
Che usò l’empio tiranno
Ei sul petto, che langue,
Se Lucretia peccò, scrivi col sangue:
Ma che farai, mio cor?
Per dar fine al tuo tormento,
Sì, cadrai costante e forte.
Ma diran, che la tua morte
Fu del fallo il pentimento,
Non la gloria dell’honor.
Ma che farai, mio cor?
So, ch’il mondo dirà, che s’io volea
Farmi di pudicizia unico esempio,
Pria dell’error dovea
Soffrir l’anima forte il proprio scempio,
E che forse il tiranno al dolce invito
D’un guardo lusinghier si rese ardito.
Per sottrarmi all’altrui colpe
Non mi val cader trafitta,
Ne mi giovan le discolpe,
Poich’à render l’alma invitta,
Giunse tardi il mio dolor.
Ma che farai, mio cor?
Sì, sì corri alla morte
E della fama mia
Il ciel, che l’udirà, giudice sia.
In tanto Roma, Genitor, consorte,
Da voi vendetta aspetto
Del rapito honor mio.
Ecco, mi sveno il petto.
Io manco, io cado, io moro, io spiro, addio.
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shelfmark Sant.Hs.862.1
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