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Redazione
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Watermark
Not recorded
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Il manoscritto corrisponde al numero 487 della collezione di Giuseppe Sigismondo, acquisita dalla biblioteca alla sua morte.
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Analytical description
Ah, che spirto né vita
Voi che intorno a me vi state
Ma celarla e perché? Qual io ne traggo
Incerto, dubbioso
Pigmalione che fai? Dove ti lasci
Ah! Che veggo, Ciel! Che sento!
Stolto! Che mai volevi
Bel Nume che adoro
Oh trasporti crudeli!
Ciel pietoso, ciel clemente
Qual divino concerto
A un dolce riposo
Galatea dove sei? Numi, che veggo!
Ah senti ben mio
Poetical text transcription
[Pigmalione]
[scena I]
Ah, che spirto né vita
Più darvi non poss’io,
Dove sei Genio mio?
Che mai sei divenuto
Misero mio talento?
In te tutto è già spento
Quel fuoco animatori ch’opre immortali
Facea sortire un dì. Itene al suolo
Voi strumenti non più della mia gloria
Ma del mio dissonor. Lascia tu pure
Avvilito scalpello
Questa mano volgar: non sei più quello.
[scena II]
Ah che divenni io mai! L’opre ammirande
Che a Tiro altera rilucenti in seno
Brillano tanto, sono
Per gli occhi miei indifferenti oggetti;
E sino i dolci affetti
Di tenera amistà sì cari un tempo
A quest’anima mia or più non sono
Per lo stupido cor che lenti moti
D’un’alma a cui son questi affetti ignoti.
[scena III]
Voi che intorno a me vi state
Cari oggetti lusinghieri
Deh voi fate i miei pensieri
Un istante tranquillar.
Ah che invano al mio tormento
Spero in voi trovar conforto
Dall’affanno più mi sento
Dall’ardore trasportar.
Sol colei quest’occhi miei
Può quest’alma consolar.
[scena IV]
Ma celarla e perché? Qual io ne traggo
Util piacer? Perché nascondo in quella
Dell’opre mie la più perfetta e bella?
Scoprasi.. forse in lei
Ravvisar si potranno i spirti miei.
[scena V]
Qual improviso sento
Insolito tremor! Folle ch’io sono!
E più non mi rammento,
Che là nascosto sia
Un lavoro di pietra, un’opra mia.
[scena VI]
Incerto, dubbioso
Mirar la vorrei
Il Nume tu sei
Di questo mio cor.
[scena VII]
Pigmalione che fai? Dove ti lasci
Da un forsennato ardore,
Misero trasportar! Venere stessa
A te cede in beltà. Non fé natura,
Non fé giammai così gentil lavoro
Se in lei me stesso adoro.
Numi, non ho ragion? Ma di tue grazie
Quelle gelose vesti
Tolgono al guardo mio. Nulla sia ascoso
Quanto in te di vezzoso
Può l’arte discoprir.
E non tremar mia mano.
[scena VIII]
Ah! Che veggo, Ciel! Che sento!
Qual portento eterni Dei!
Quelle membra a colpi miei
Vidi tutte palpitar.
Lo stupore, lo spavento
Mi fa il sangue, il cor gelar.
Qual portento eterni Dei,
Lo stupore, lo spavento
Mi fa il sangue, il cor gelar.
Stolto! Che mai volevi
Accrescerle, abbellir: se il sol difetto
Di quell’opra è l’aver tutto perfetto?
[scena IX]
Uno spirto vitale
Sol ti manca nel sen.
[scena X]
Ah come bella,
Numi saria qiell’alma
Che per voi questa salma
Avesse ad informar.
[scena XI]
E di quai voti
M’oso stolto nudrir,
[scena XII]
Ecco l’oggetto
Per cui ritrar non posso
Da questi luoghi il piè d’un masso informe
Per mia man dirozzato
Esanime, impensato!
Ritorna entro te stesso
Togli al tuo core oppresso
L’esca fatal di così indegno ardore
Sommetti alfine alla ragion l’errore.
[scena XIII]
Ah! Qual luce! Qual foco!
Scintillar d’improvviso
Veggo su quel bel viso
Come quel dolce raggio
Di celeste fulgor che in lei risplende
Rapido sul mio cor, Numi, discende.
Ah! Perché non poss’io
Farti quest’alma in sen bell’Idol mio,
Ma s’io mi fossi in lui,
Mirarla non potrei,
Vagheggiarla adorar. Ah viva e spiri
Altr’alma nel suo seno
Onde felice appieno
Trovi questo mio core
Chi renda a lui per tanto amor amore.
Bel Nume che adoro
Tu versi di speme
Un dolce ristoro
In questo mio sen.
Quel raggio amoroso
Pietoso mi dice
Contento, felice
Vivrai col tuo ben.
[scena XIV]
Oh trasporti crudeli!
Oh tormentose brame
D’un impotente amor! Più non poss’io
No, più non posso, oh Numi
Sopravivere a questo
Terribile funesto,
Che mi divora e strugge, ardor interno.
[scena XV]
Ho nell’alma, nel cor, tutto l’inferno.
Numi eterni del Ciel! Queste ch’io verso
E dagli occhi e dal cor dirotto pianto
Deh vi muova a pietà. Madre d’Amore
D’un misero amator odi gli accenti
Men severa ti mostra a’ miei lamenti.
Ciel pietoso, ciel clemente
A lei dona i giorni miei
Se morir degg’io per lei
Non mi lagno di morir.
[scena XVI]
Qual divino concerto,
Qual soave armonia
Rapisce l’alma mia!
Sì sì t’intendo
Bella madre d’Amor tu sei,
Che pietosa ti mostri a pianti miei.
A un dolce riposo
Alfine pietoso
Invitami Amor,
Che pace, che calma
Mi scende nell’alma,
Mi sento nel cor.
[scena XVII]
Galatea dove sei? Numi, che veggo!
Numi, che mai ravviso!
Tinte di carne ha in viso
Galatea, il mio tesoro. A poco, a poco
Stende la mano, il piè, negli occhi ha il foco!
Povero Pigmalion non v’è più speme,
Hai la ragion smarrita
Non v’è più da sperar. Deliro... fremo...
Ah questo di mia vita è il punto estremo.
[scena XVIII]
[Galatea] Io... [Pigmalione] Io...
[scena XIX]
Numi del Cielo! Venere... Galatea
[Galatea]
Dì, chi son io? [Pigmalione] Tu sei l’idolo mio.
Cara! Tu l’opra sei
Di mia man, del mio cor, e degli Dei.
[Galatea]
Perché tremi? [Pigmalione] Nol so [Galatea] T’accosta [Pigmalione] Oh Dio!
[Galatea]
Dammi la mano almeno
[Pigmalione, Galatea]
Cara non più vieni al mio seno / Caro non più vieni al mio seno.
[Galatea]
Ah senti ben mio
Ah questo cos’è
[Pigmalione]
Quello ch’anch’io
Mi sento per te.
E’ un dolce tremore
Che sentesi in core
[Galatea]
Il core cos’è?
[Pigmalione]
L’asilo d’Amore.
[Galatea]
Amore chi è?
[Pigmalione]
E’ il Nume pietoso
Autor di tua vita,
Che l’aspra ferita
Sanò del mio sen.
E’ il Nume tremendo
[Galatea]
Lo sento, l’intendo
[Pigmalione]
Mia vita [Galatea] Mio ben.
[Pigmalione]
E’ il Nume pietoso
Autor di tua vita
Che l’aspra ferita
Sanò del mio sen.
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shelfmark Cantate 249 (=25.4.19)
Record by Giulia Giovani