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Il manoscritto apparteneva alla collezione di Giuseppe Sigismondo, giunta in biblioteca alla sua morte.
Titolo uniforme
Organico
Repertori bibliografici
Bibliografia
Descrizione analitica
Odi, o Troia, Cassandra: udite Apollo
I dardi volano
Voi mordete la polve e 'l vostro sangue
Ne l'aureo talamo
Non sempre riderai scherzosa Dea
Santa Dea figlia di Giove
Nulla ottien da la Diva il re dolente
Ma festeggiate
Bacialo e 'l prega a vendicare il figlio
A la veloce notte
Lo splendor de l'incendio il guardo fere
O misero non sai
Di sangue e polve ha già bruttati i crini
Non fu sì orribile
Alla corrente
Pur con l'aiuto di Vulcan che soffia
Vieni o sposa, te felice
Ei cade su la polve
Quanti danni, quanti affanni
Chi ne l'abisso mi sotterra? Oh Dei
Trascrizione del testo poetico
Odi, o Troia, Cassandra: udite Apollo,
Nuore di Priamo, e tu tra l’altre sposa
Del bellicoso Ettorre.
Ahi prole misera
Di Laomedonte,
Esposta all’onte
Dal greco esercito
Per un’adultera!
Accorrete a le spiagge. Eccole ingombre
De’ guerrieri, e de’ regi,
Che arena amena, e la petrosa Aulide,
E Corinto marittima, e la grande
Eubea, Micene, Locri, Argo, Orcomeno,
Sparta, Atene, Dulichio, e Pilo, e Gnosso
Mandano ad atterrar le frigie torri.
Sotto il piè de’ soldati e de’ cavalli
S’innalza procellosa onda di polve
Ed al fragor de’ ripercossi scudi,
Gli alti monti rimbomban eccheggiando.
I dardi volano,
E ’l Sol ricopresi,
I cocchi stridono,
E infranti cadono
E Frigi, e Dardani,
E Misi, e Lidi,
E Traci, e Cari,
E quei che albergano
Su l’alta Micale,
E quei che bevono
L’onda de l’Esepo.
Voi mordete la polve, e ’l vostro sangue
Corre a macchiar il Simoenta e ’l Xanto,
Mentre la Dea ch’ama gli scherzi e ’l riso,
Profuma i crini, e rabbellisce il viso
Del codardo garzon che i patti ruppe
Del tonante invocato avanti l’are.
Ne l’aureo talamo
Ei le leggiadre
Membra distenda,
E da le tremole
Luci egli penda
Di lei che s’offregli
Più liscia e morbida
Del cigno candido
Che le fu padre.
Sospirosetti
Va raddoppiando
Gli umidi baci,
E gli Amoretti
L’ali spiegando
Scuoton le faci.
Sorride Venere,
E del suo nettare
A’ baci imparte
La quinta parte.
Non sempre riderai, scherzosa Dea,
Prima cagion di tutti i nostri mali.
Al più fier de’ mortali
Palla gli occhi conforta, ed ei ti vede
Intorno al caro figlio
Stender le bianche braccia, e oppor tremante
A le greche falangi
Le increspature del lucente peplo;
Ma il furibondo greco
Stringe l’arco e ’l dardo incocca,
Fischia la corda, e vola il ferro acuto,
E t’impiaga la man. Morbida mano,
Mano fievole e imbelle!
L’immortal sangue da la palma gronda,
E così il duol della ferita inaspra
Che de’ conforti di Diana hai d’uopo,
E de’ Peonii balsami. Non molto
Campa colui che co’ gli Dei combatte;
Né fia felice al suo ritorno il greco.
Ma tu fra tanto, o molle Dea, t’ascondi
Ne’ boschi de l’Idali, e in grambo a’ vezzi,
A’ sorrisi, e a’ bisbigli,
Di cui porti storiato il vago cinto,
E lascia l’ire e le battaglie a Palla.
Ella del padre Giove
Veste l’usbergo, e l’Egida sostiene,
Da le cui simbrie pende
La sconfitta, e ’l terrore,
La discordia, e ’l furore,
E le stragi, e la morte,
Volanti intorno a la Gorgonea testa.
Ahi spettacolo orrendo,
Che a lagrimar mi sforza
Sovra le tue rovine, o patria amata!
Io precedendo le troiane spose,
Al tempio corro de la Dea sdegnata,
Ed offro incensi e fiori, Ecuba piange,
Andromaca sospira, e Priamo prega.
Santa Dea, figlia di Giove
Che col ciglio il mondo move,
Non sdegnar de’ tuoi divoti
L’ostie, e i voti;
Ma con l’Egida difendi
Troia e l’Asia, e pietà prendi
De’ perigli
De le madri e de’ lor figli.
Nulla ottien da la Diva il re dolente,
E suonan le contrade ampie di Troia
D’armi, e cavalli. Il valoroso Ettorre
Alla Scea porta accorre. Ode le strida
Di lei che mostra il pargoletto, e grida.
Così tu parti Ettorre, e così lasci
Me senza sposo, e senza padre il figlio?
Sette fratelli il vincitor m’uccise,
M’uccise il padre, e feo la madre serva;
Ma ciò che avea perduto
In te mi rimaneva, o caro Ettorre;
E tutto perdo ancor se tu mi manchi.
Ei le risponde: Andromaca cor mio,
Ci rivedremo, Addio.
Altri pianti, e lamenti
In fondo al mar ondisonante ascolto
Ne la Pomicea grotta, ove soggiorna
L’argentipede Teti.
Invano la consola
Cimodoce e Nisea,
Panopa e Galatea,
Climene, Oritia, e l’altre figlie azzurre
Del gran padre Nereo.
Ma festeggiate,
O Troiani e acclamate
Con flauti, e cetere,
Con tibie, e cembali,
La Dea che lascia
Le bianche spume,
Qual agil nebbia,
E all’immortale
Olimpo sale,
E in faccia assidesi
Al sommo Nume.
Bacialo, e ’l prega a vendicare il figlio,
A cui rapio la donna il re de’ regi.
Giove crolla la testa immortale.
I greci fuggono, e vince Ettorre.
Come incalza colui che ferì Marte,
E come l’altro cui Nettuno appare
Sotto sembianza d’augure. Con ali
Agilissime vola la Vittoria
Intorno al Duce. Oh qual gran sasso avventa
Contro le ferree porte, e in due le spezza!
A la veloce notte
Simile nel sembiante
Teco, o Polidamante,
Tra l’abbattute porte
Salta, e porta la morte
A’ greci, e porta a le lor navi il foco.
Non sì giganteggia
Orione stellato
Sul mare turbato,
Come Ettorre
Che trascorre,
E mura atterrate,
E navi rostrate.
Va il foco serpendo,
Stridendo, muggendo,
E ’l lido fiammeggia.
Lo splendor de l’incendio il guardo fere
De l’implacabile,
De l’indomabile
Allevo del Centauro, onde a l’amico:
Armati, disse; è tempo, e gli offre l’elmo,
Lo scudo ponderoso e la gran spada,
Che imbrandir mai non puote alcun de’ greci.
O misero, non sai
Quai siano i tuoi deliri,
E quai pianti e sospiri
In breve verserai
Sul corpo estinto del garzone incauto.
Di sangue e polve ha già bruttati i crini,
Simili a quelli de le grazie, e stretti
tante volte da te con aurei nodi.
Non fu sì orribile
Quella ferita,
Che ad Adon candido
Tolse la vita;
Né men di quello
Nel viso pallido
Apparve bello.
Il maggior de’ mortali è il più infelice.
Rugge e mugge, e su la testa
Versa cenere e la vesta
Squarcia e lorda, e pesta il petto:
Ma tosto il dolore
Si cangia in furore.
Qual leone di sangue assetato
Che anelante dà caccia a le belve,
Con la coda sferzando va il lato,
E co i gridi assordando le selve;
Tal ei veloce
Corre, e gran voce
Grida tre fiate,
E tre si scompigliano
Le schiere turbate.
Ove mi fuggo mai? Dove mi celo,
Per non mirar in tante parti il cielo
Diviso tra il troian duce ed il greco?
Ma tu m’innalzi, o santo Apollo, teco
E da gli occhi mi togli il mortal velo.
Oh discordie, oh perigli!
Oh tumulti, oh scompigli!
Oh terrore, oh furore!
Rimbombano dal lido
I gridi di Minerva, e vi risponde
Da la città con ugual urlo Marte.
Tuona da l’alto orribilmente Giove,
E di sotto Nettun scuote l’immensa
Terra, e nel suo profondo
Trema il centro del mondo.
Sbigottisce Plutone,
E dal caligionoso
Trono precipitoso
Ei sbalza e grida al scuotitor Nettuno
Che non isquarci sopra lui la terra,
Né scopra a gl’immortali
E a’ mortali l’orrende e rugginose
Case de’ morti. Tu ti metti contro
Re Nettuno, di Febo, contro Marte
Pugna Minerva, contro Giuno Cintia,
Cillenio è a fronte di Latona, e contro
Del Dio Vulcano lo Scamandro corre.
Ma il figliolo di Teti agogna a Ettorre.
Alla corrente
Del Xanto sbalza,
E fere e incalza
Destrieri e gente.
Dal fondo imo algoso
Il fiume sdegnoso
Muggiando,
Allagando
Con sangue ed onde,
Uomini e sponde
Gorgoglia, tempesta,
E il Greco molesta.
Pur con l’aiuto di Vulcan che soffia
Incendi, e ’l fiume inaridisce, ei tragge
Fuor de la sanguinosa ed arsa sponda
Dodici donzelletti, e lor legate
Le molli braccia al tergo,
Vitima li destina
Del morto amico a la futura tomba.
A l’infelice prence
Venduto in Lenno, e che pregando abbraccia
Del vincitore le ginocchia, ei caccia
L’asta nel petto. O Priamo egli è tuo sangue.
Deh almen col pianto tuo, col tuo consiglio
tu ne serba quel figlio,
Quello da cui dipende
La salute de l’Asia. Ah non poss’io
Seguir il piè veloce
Del figliolo di Teti. La sua voce
Mi spaventa e m’abbaglia
Il luminoso immenso
Scudo che imbraccia, e glie lo diè la madre:
A l’atterrate squadre
Degg’io volger il guardo, o al vecchio afflitto.
Che con le man levate in alto batte
Il capo e squarcia i bianchi crini? deggio
Ecuba consolar? Povera madre.
A la troiana torre
Frettolosa sen corre,
E vede che la punta
Del frassino volante
Passa il tenero core al caro Ettorre;
Andromaca, e tu taci
E a tesser tele rilucenti giaci?
De l’alta casa in fondo esci, e vedrai
Lo sposo tuo pria ch’egli chiuda i rai.
Vieni o sposa, te felice,
Se ti lice
Di raccor l’estremo spirto,
Che abbandona il dolce viso,
E con l’ombra se ne va.
Nel riposo de l’Eliso
Soggiornando sotto un mirto
Co gli eroi t’attenderà.
Vieni o sposa, te felice...
Ei cade su la polve,
E inumano priega
Il vincitor per la sua stessa vita,
E pe i suoi genitori: ei lo calpesta,
E l’asta ferrea tratta
Del morto corpo gli dispoglia l’armi,
Gli fora i nervi del tallon de’ piedi,
Lega al cocchio il cadavero, e sul cocchio
Che la vendetta guida,
E l’orrore accompagna,
Sale e sferza i destrieri, e quei volando
Van per la polve strascinando il capo
Pria sì leggiadro. I bei neri capegli
Li cascano a l’intorno.
E a tanto orrore,
Sole, tu presti i rai del giorno.
E Giove vede
Il corpo esangue,
Ed a’ suoi fulmini
Ei non frammischia
Pioggia di sangue!
E’ tutta in pianto ed in tumulto Troia.
Afflitte e lagrimose,
E le madri e le spose
Vanno intuonando in lagrimoso metro.
Quanti danni, quanti affanni,
Caro Ettorre, Ettorre forte,
La tua morte
A la patria apporterà.
Te caduto, Ilio superba
Divenuta sassi ed erba
D’Asia il regno perderà.
Chi ne l’abisso mi sotterra? Oh Dei,
Che perdonate a’ regi,
A Cassandra togliete
La vita per pietà, né permettete
Che io de la Dea Minerva
Vergin sacerdotessa il collo pieghi
A le nozze
Vili e sozze
Del vincitor superbo.
Io sopravviver deggio
Al genitor trafitto
D’Ecuba tra le braccia a piè de l’are?
Io mirar deggio, io
Polidoro svenato,
Polissena scannata
Astianatte schiacciato, e Troia in polve?
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collocazione Cantate 187 (=34.3.9)
Scheda a cura di Giulia Giovani